sabato 15 gennaio 2011

Quarte sponde

Fin dalle prime avvisaglie della crisi economico-finanziaria (che, a tre o quattro anni dal suo inizio, continua a fornire agli imprenditori ottime scuse per liberarsi di dipendenti che in tempi normali troverebbero giudici pronti a reintegrare anche dei non-giornalisti) avveduti e improvvisati grecisti hanno proposto alla riflessione del pubblico una provocatoria e paradossale e perciò attraente ed inconfutabile tesi: la crisi è un'opportunità di miglioramento.

In effetti, il dizionario etimologico svela la vox media: "subitaneo cangiamento in bene o in male nel corso di una malattia, da cui si giudica, si decide la guarigione o la morte".

Allora colla scusa della crisi si rifà la Fiat, si rifanno gli operai, si rilanciano le nuove tecnologie, si crea il mondo nuovo.
Meraviglioso: viene voglia di fare crisi ogni anno, altro che addolcire i picchi delle fasi economiche cicliche.

Il palcoscenico della nostra crisi, negli ultimi mesi, l'hanno occupato senz'altro Roma e Milano: a Sud si fa la nuova giunta e si appronta la quarta gamba dei responsabili; a Nord si gioca l'ultima romantica sfida fra il Presidente e i suoi eterni nemici togati.

Ma molto, molto più a Sud si apre forse una partita nuova ed interessante: la malattia di un Paese mediterraneo è arrivata allo stadio terminale, le Istituzioni sono crollate e, sedati gli scontri di piazza e rimessi in pristino i prezzi del pane e dello zucchero si comincerà, prima o poi a ricostruire.
In Italia, di sicuro, abbiamo altro a cui pensare: nel giorno in cui Ben Ali lascia la capitale i giornali italiani fanno fatica a dividere le prime pagine tra l'avviso di garanzia ed il referndum.
Fino al 2008 ci aveva pensato (folkloristicamente) il Presidente Cossiga a ricordare, pure in tempi di crisi politica, che oltre i confini nazionali nuove Nazioni nascono e nuovi governi si fondano.
Oggi non c'è più il Presidente emerito a richiedere più attenzione per la politica estera; allora, ripartito da Cagliari l'aereo tunisino, lo sguardo della Farnesina, di Montecitorio, di Palazzo Chigi si poserà su Tunisi?

Alla fine dell'800 speravamo di farne la colonia mediterranea; alla fine del secolo scorso Hammamet ospitò un Presidente del consiglio perseguitato dai giudici (?) ma, quel che più conta, i rapporti commerciali fra la nostra grande isola ed i nordafricani si sono intensificati.

Sarà il caso di sfruttare questa crisi per indirizzare il Paese verso la via della guarigione o le sirene di Morricone ci impediscono di sentire le urla di rabbia e fame che vengono dall'altra sponda del Mediterraneo?

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